27 gennaio 2023

Il 27 gennaio, Giornata della Memoria, non è una data insignificante, poiché costituisce un pilastro simbolico della storia moderna e che richiede perciò un momento di riflessione.
Già tra il 1942 e il 1943 gli ebrei e altri gruppi etnici vennero deportati nei campi di concentramento, luoghi che non necessitano di alcuna delucidazione. Per i più si è trattato di un viaggio di sola andata verso la morte.
In Italia nel 1938, in Germania ancora prima, il governo fascista introdusse le leggi razziali che limitarono in maniera considerevole la libertà degli ebrei: adulti che si trovarono da un momento all’altro emarginati dalla società; bambini che vennero espulsi dallo stesso istituto nel quale avevano stretto le più sincere amicizie. Questo però era soltanto il principio.
Quando i nazisti decisero che ciò non era sufficiente, ritennero opportuno privarli dell’unica cosa che rimaneva loro: la dignità, l’essere persone. Donne, uomini, anziani e bambini da un giorno all’altro vennero catturati e gettati in treni gremiti di persone, ignari della loro destinazione; ma non treni qualsiasi come quelli che ci potremmo immaginare oggi, bensì vagoni merci utilizzati per trasportare bestiame. All’arrivo nei campi, ricevettero semplici domande le cui risposte pur essendo banali, sì o no, potevano pregiudicare la loro stessa sorte. Insomma, bastava un semplice ripensamento, una semplice parola pronunciata d’impulso per il dolore, per la stanchezza o per la compassione nei confronti di quelle immense cataste di corpi ormai prive di anima, che si sarebbe potuta fare la stessa fine.
Questa si può definire vita? Gente che lavorava senza sosta di notte, di giorno, anche sotto la neve con la speranza di poter rivedere, la mattina seguente, nuovamente la luce del sole. Dunque atti atroci che ancora una volta rimarcano l’egoismo e la crudeltà dell’uomo.
Alla luce di quanto esposto mi è naturale chiedermi e chiedervi di riflettere, di informarmi/vi e di interessarmi/vi per far sì che quanto riportano non riaccada. Tutto ciò, però, senza la presunzione di poter anche minimamente comprendere il dolore delle vittime.
Come scrisse Primo Levi: “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte e oscurate: anche le nostre”.